Parecchi osservatori affermano che entro quest'anno il tempo di lavoro delle macchine supererà il tempo di lavoro dell’uomo. Ciò implica che sarà sempre più necessario approfondire Il rapporto uomo macchina ben prima che un robot o qualsiasi nuovo oggetto tecnologico raggiunga il pubblico.
Quali sono le questioni, vecchie e nuove, su cui riflettere nel presente?
L’automazione presente e prossima è definibile come meccanica ( prima stratificazione) , algoritmica ( seconda stratificazione) protocologica o istituzionale ( in ultimo) .
Qualcuno parla dell'automazione delle 3 M ( mani , menti, mercati). Tali considerazioni sfociano e sono base dell'attualissima machine-economy . Senza però garantire un processo di controllo cognitivo e culturale del fenomeno rischiamo pesantemente che l’emergente “economia della macchina” si avvia a creare, conservare e circolare valore digitale in modalità neo-automatizzate sorprendenti tanto quanto arrischiate. La nascita e veloce propagazione degli software studies ( analisi delle implicazioni dei codici), dall’esame di protocolli e primitive crittografiche fondativi per piattaforme e stack infrastrutturali, dall’investigazione delle nuove ontologie e metafisiche dell’artificiale, del sintetico e del quantistico. Senza dimenticare di inserire tutto questo in una nuova riflessione improntata su società, etica, legge, politica: dalla machine experience alla machine economy, ethics e politics.
Quali sfide dobbiamo prepararci ad affrontare?
La sfida dell’automazione è una sfida speculativa e operativa di scala planetaria. L’automazione è da leggere anche e soprattutto culturalmente e con prospettiva eco-planetaria. Molti ancora non riescono a vedere la sfida e cioè come queste automazioni (fisiche, cognitive, catallattiche) si stiano già incrociando e si potranno ulteriormente intersecare in modalità inaspettate. In dicembre, ad esempio, al MIT Media Lab si è svolta una conferenza su blockchain e robotica. Ricercatori e imprenditori si sono confrontati sulla frontiera di nuovi modelli di business che uniscono protocolli decentralizzati, intelligenza artificiale e robotica a sciami (swarm robotics). Un esempio eccellente di “immaginazione in azione”.
Come cambia il nostro approccio all’ambito cognitivo?
I cambiamenti in atto saranno profondi soprattutto perché oggi sempre più a “conoscere” la realtà sono agenti artificiali attraverso sensori, dati, algoritmi, protocolli e infrastrutture. Le macchine che abbiamo considerato finora semplici cose o strumenti inanimati sempre più fanno “esperienza” del mondo a loro modo. Facciamo un esempio. Un’automobile a guida autonoma per andare in strada senza guidatore deve poter capire il contesto in cui si muove. Deve saper individuare i percorsi e gli edifici, riconoscere in autonomia le altre auto e scansare i pedoni. E non soltanto deve riconoscere il contesto, ma anche per l’appunto prendere decisioni. Prima dei recenti successi delle reti neurali artificiali e dell’apprendimento profondo (deep learning) le auto non erano capaci di autonomia d’azione in strada. Storicamente, stiamo dunque erodendo l'ego-centrismo delle macchine: prima passando, nei programmi software, da ‘batch’ a ‘interrupt’ e poi, con gli algoritmi di apprendimento profondo, da ‘knowledge’ a ‘learning’. In molti per il futuro immaginano una più stretta contaminazione tra approcci logici-simbolici e approcci empirico-neurali per simulare, nel “pensare” delle macchine, il senso comune, l’inferenza causale e molto altro.
Quante aziende tecnologiche si sono rese conto dell’importanza di un pensiero critico e filosofico nello sviluppo tecnologico?
Pare che ci sia un interesse crescente da parte delle imprese per il pensiero critico . E non solo per le questioni sociali, politiche ed etiche che le evoluzioni tecnologiche implicano. E né solo per l’intelligenza artificiale. Pensiamo anche alla blockchain. Per me, l’attuale focalizzazione sulle meccaniche ingegneristiche della tecnologia blockchain rischia di offuscare le dimensioni istituzionali fondative di cos’è un “registro”. Il registro nella sua forma più astratta è storicamente una tecnologia della memoria sociale dello stato del mondo in un dato momento. È, cioè, un dispositivo istituzionale, una nuova istituzione dopo mercati e imprese (si veda Berg, Davidson e Potts, Understanding the Blockchain Economy). Pensiamo ad esempio al cloud e alle altre metafore atmosferiche della computazione. Cloud computing, fog computing, edge computing mappano i dove della computazione, le sue locazioni: sulla nuvola, nella nebbia o al margine del mondo. Ma queste “collocazioni” della computazione sono anche e soprattutto diverse “configurazioni” della computazione. In realtà il cloud non è tanto un “luogo” della computazione (luogo d’essere nel mondo), ma è soprattutto un “modo” della computazione (modo d’essere del mondo). Il pensiero strategico diventa operazione del quotidiano.
Uno degli aspetti fondamentali è il tema etico. Quali sono le questioni più spinose?
Si rende quindi necessario aiutare ( farsi aiutare) a chiarire e a illuminare principi e fondamenti dello sviluppo tecnologico, a porre in questione e criticare assunzioni e pregiudizi applicativi, a costruire nuovi modelli di governo e linee guida etiche in grado di eliminare o mitigare, ad esempio, le discriminazioni algoritmiche o le automazioni delle diseguaglianze nei processi decisionali. È anche in questa prospettiva che, credo, vada esplorata e analizzata la nuova condizione umana in emergenza (nel duplice senso di novità e vulnerabilità) per comprendere se e come e perché è una condizione che si dice essere “aumentata” dalla neo-automazione o piuttosto messa in pericolo. Di fatto, sono scenari gravidi di opportunità per la costruzione di un nuovo mondo automato e aumentato potenzialmente più prospero, ma anche forieri di reali criticità e rischi nell’amplificare o creare nuove diseguaglianze. Ci sono due orizzonti primari di vulnerabilità: “privacy” (protezione del nostro presente/passato: riservatezza, sicurezza…) e “destiny” (protenzione del nostro presente/futuro: libertà, autonomia…). Oramai lo sappiamo. Ma in realtà si sta già lavorando su questi aspetti e occorrerebbe far avanzare il dibattito attuale molto fermo e schiacciato su rischi e paure. Nei laboratori e negli istituti di ricerca si stanno studiando soluzioni anche sperimentali. In generale c’è un grande fermento e una consapevolezza crescente: comitati e organismi istituzionali, documenti per la regolazione e linee guida, assessment etici per le tecnologie, pratiche e approcci per algoritmi aperti e certificati, miglioramento della qualità dei dati in input, verifica degli algoritmi per garantire maggiore equità e libertà, nuovi strumenti per rendere esplicabili le AI ecc. Certo, compito non semplice, ma un dibattito fermo solo ai problemi è oggi poco utile ed è lontano dallo stato dell’arte. Di sicuro, progetteremo e negozieremo soluzioni che possono eticamente divenire intersecabili escambiatrici di dati fra loro . Da buoni sistemisi questi progetti embrionali si aggiusterranno nel tempo.
In un mondo in cui l’automazione è centrale, cosa dovrà rimanere tipicamente ed esclusivamente umano?
L’economia della macchina, come si comincia a definirla, si sta sviluppando e produrrà nuovi automatismi e nuove automaticità. E cè già chi immagina incroci possibili tra robotica e blockchain per immaginare smart contract che gestiscono droni in forma di “robot-as-a-service”. Dobbiamo però essere chiari su un punto. Quello che chiamiamo “umano” è anche il risultato complesso delle tecnologie che storicamente vengono sviluppate. L’umano non “è”, l’umano “diviene”. Ed è anche figlio dei suoi automatismi (biologici, culturali, sociali, storici). Da ultimo, la tecnologia è il modo dell’umano di stare al mondo. Da quando scheggiavamo pietre per ricavarne coltelli e utensili vari, ad oggi che creiamo architetture informatiche per comunicare e interagire. La mia idea è che non sia possibile scindere tecnologia e umanità come se ci fosse un umano in sé distinto dagli strumenti scientifici, artistici, professionali e culturali che storicamente usa. L’umano contemporaneo nascerà nelle e dalle tecnologie digitali, di rete, artificiali e algoritmiche, sintetiche e quantistiche che stiamo progettando in questi anni. Il lavoro del medico è già oggi disumanizzante (e non perché ci sono le macchine o perché verranno le macchine), ma in quanto è schiacciato da routine, inefficienze e burocrazia. L’automazione potrebbe liberare il tempo medico da dedicare empaticamente e umanamente ai pazienti. Ma sta a noi indirizzare verso questo orientamento lo sviluppo dell’automazione perché ciò non avverrà automaticamente.
Per informazioni : Dott. G. Puggioni Senior System Integrator Cell. 328 3091887
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